Il museo della carta di Amalfi è il racconto di una tradizione antica in uno dei luoghi più suggestivi d’Italia.

Gli amalfitani avevano appreso dagli Arabi le tecniche per la produzione della carta, che allora veniva chiamata carta bambagina. Questo nome derivava probabilmente dalla città araba El Mambig oppure secondo altre tesi dal cotone omonimo.

La carta amalfitana, detta anche charta bambagina, fu usata anche per le scritture private, per atti giudiziari e valori bollati nell’Italia Meridionale, presso le corti degli Angioini, degli Aragonesi, del Vicereame Spagnolo e della corte Borbonica.

La fama della carta d’Amalfi arrivò lontano e molti stranieri arrivavano a Napoli per stampare le loro opere su carta d’Amalfi.

Non si hanno documenti ufficiale che consentono di determinare quando nacquero le prime cartiere. Tuttavia è possibile prendere come riferimento il 1231, data in cui Federico II con le norme decretali pubblicate a Melfi, vietò l’uso della carta bambagina negli atti pubblici, e impose la trascrizione di questi su pergamena.

Il museo della carta di Amalfi ha sede in un’antica cartiera risalente al XIV secolo.

Nel museo sono ancora oggi fruibili gli attrezzi secolari usati nella produzione della carta a mano.

Sono conservati gli antichi magli in legno che, azionati da una ruota idraulica, battevano e trituravano gli stracci di lino, cotone e canapa precedentemente raccolti nelle possenti pile in pietra. L’impianto così ricavato si prelevava dalle pile con opportuni attingiti in legno e veniva immesso nel ino, diluendolo con acqua.

Il tino consisteva in una vasca, rivestita interamente di maioliche, di un’altezza tale da consentire al lavorante in piedi la più comoda delle posizioni. Il lavorante immergeva nel tino un telaio il cui fondo era costituito da una rete metallica a maglie strette e raccoglieva una certa quantità di pasta, distribuendola nella forma.

Scolata l’acqua, restava un sottile strato di pasta. Il foglio veniva poi messo su un feltro di lana e ricoperto di un altro feltro. Molti fogli accatastati insieme con la stessa procedura, venivano poi sottoposti ad una pressa per l’eliminazione dell’acqua residua.

Nella cartiera – museo ne esistono due, tuttora funzionanti, risalenti al 1700. Dopo la pressatura i fogli venivano tolti dal levatore e posti l’uno sull’altro creando la così detta posta. Successivamente le poste venivano trasportate nei locali (spanditoi) per l’asciugatura ad aria.

I fogli venivano poi collati con soluzione di gelatina animale e lisciati a mano, previa accurata selezione a seconda della qualità.

L’ambiente della cartiera, nelle sue stratificazioni presenta altri aspetti più moderni.

Nel 1600, infatti la pila a maglio fu sostituita dalle Olandesi, nuove macchine capaci di produrre più celermente a costi inferiori.

L’esemplare esistente nella cartiera, azionato idraulicamente, fu installato il 18 novembre 1745, come risulta dalla data graffita sull’intonaco di una parte. Questa lavorazione utilizzava, al posto del telaio, un cilindro ricoperto di tela metallica per metà immerso nella pasta di cui sollevava uno strato aderente alla superficie. Lo strato si staccava automaticamente e passava attraverso due rulli feltrati per l’eliminazione dell’acqua. Questa macchina era detta “in tondo” o “a tamburo”.

La carta così prodotta a fogli veniva poi messa ad asciugare negli spanditoi.

Il Museo della carta si avvale anche di una sala operativa, realizzata in un moderno ambiente sovrapposto, dove vi è una mostra antichi utensili per la fabbricazione e allestimento della carta a mano.

Grande importanza e valore bibliografico assume la dotazione libraria di fonti e testi sulle origini della Carta di Amalfi in lettura presso la biblioteca del museo.

Il museo di Amalfi è dunque un gioiello di archeologia industriale.

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